Musica: emozioni e attese
“La musica è una rivelazione più profonda di ogni saggezza e filosofia” Ludwig van Beethoven.
Nessuna arte, per quanto apprezzata e seguita, può evocare emozioni così intense come quelle attivate dalla musica. Perché? Cosa la rende così potente? A quali parti di noi parla così forte? E in che modo?
Partiamo innanzitutto dalle strutture cerebrali coinvolte nella relazione musica-emozione. Sicuramente l’amigdala gioca un ruolo fondamentale. L’amigdala è un gruppo di strutture interconnesse poste sopra il tronco cerebrale, vicino alla parte inferiore del sistema limbico, il circuito attraverso cui passano le emozioni nel cervello. Ancora prima che ci sia un’elaborazione da parte della corteccia, l’amigdala riceve rapidi input direttamente dal talamo e dall’ipotalamo e ha un ruolo chiave nella reazione istintiva ai messaggi impliciti contenuti nella musica. Ciò spiega perché le risposte immediate agli input musicali come ad esempio la commozione all’ascolto di un brano particolare avvengano ancora prima della reazione della corteccia agli input musicali stessi.
L’ascolto della musica sembra stimolare anche il rilascio di endorfine coinvolgendo il sistema limbico che contiene un gran numero di recettori per gli oppioidi endogeni.
Esiste un sottile scambio emotivo e fisico tra ascoltatore, esecutore e il resto del pubblico. Una delle caratteristiche dei concerti e delle performances dal vivo è che si ascolta sia con la propria energia che con quella collettiva. L’aumento dell’attenzione da parte del pubblico crea un intenso campo energetico che può esercitare una notevole influenza sia nella produzione dei suoni, sia negli effetti sul corpo e sulla mente dei presenti. Gli effetti vitalizzanti della musica sono tanto più forti quanto più siamo disposti a fare esperienza e ad abbandonarci alle sue vibrazioni, mentre diminuiscono in relazione a eventuali chiusure mentali, pensieri critici, impazienza o distrazioni.
Vediamo ora di rispondere ai quesiti iniziali partendo dal caso più semplice da spiegare: certi brani musicali sono legati a momenti significativi della nostra vita che a loro volta suscitano un’emozione. In questo caso sono i ricordi più che la musica ad evocare l’emozione.
Ma una musica può evocare emozioni anche quando viene ascoltata per la prima volta, senza essere legata a precedenti esperienze. Accade spesso che ascoltatori diversi per sesso, ceto sociale, scolarità, esperienza, cultura, educazione musicale e gusti personali giudichino nel medesimo modo una stessa musica al primo ascolto attribuendole sensazioni di allegria, tristezza, malinconia, angoscia o serenità.
Gli effetti emotivi della musica sono prodotti dalle note e dal ritmo.
Il ritmo è la velocità, in termini musicali il “tempo”, e si misura in battiti al minuto. Tempi inferiori a 60 battiti al minuto hanno un effetto tranquillizzante, sotto i 30 l’effetto diventa addirittura deprimente, mentre a partire da 80 battiti in su l’effetto è attivante. Questi valori fanno riferimento all’attività cardiaca umana, che in condizioni di veglia a riposo si aggira intorno ai 70 battiti al minuto. La frequenza cardiaca di una mamma ha effetto sullo stato d’animo del bambino che è tranquillizzato da frequenze normali o lievemente più lente che gli comunicano che la mamma sta bene ed è tranquilla, mentre frequenze più alte indicano che la mamma è all’erta o in ansia. Questa risposta emotiva alla frequenza di suoni ritmati ce la portiamo dietro per tutta la vita.
Per quanto riguardagli effetti emotivi delle note, potrebbe essere utile comprendere perché determinate note suonate insieme (accordi) o una dopo l’altra (melodia) vengono percepite come allegre, mentre altre come tristi. Le motivazioni sono in parte di origine culturale ma in altra parte innata. Per fare un’estrema sintesi e semplificazione di complesse nozioni di fisica e fisiologia acustiche, ci basta qui riportare che un accordo o una melodia vengono percepite tanto più gradevoli o consonanti quanto più semplice è il rapporto fra le loro frequenze. La maggioranza delle canzoni di successo “facili” da ascoltare e orecchiabili al primo ascolto è costituita proprio sugli accordi le cui note fondamentali si trovano fra loro in rapporti semplici (es. Do, Sol e Fa; Mi, Si e La).
Ciò che qui ci interessa è chiederci perché. Perché le note che sono in rapporti di frequenza semplici fra loro ci risultano più gradevoli di quelle con rapporti complessi?
I suoni che istintivamente ci provocano paura sono rumori prodotti in natura da eventi potenzialmente pericolosi come terremoti, esplosioni, frane o fulmini. Sono in sostanza tutti suoni che contengono un gran numero di armoniche che stanno fra loro in rapporti di frequenza casuali e quindi complessi e disordinati. E’ ipotizzabile che il nostro sistema nervoso sia predisposto a considerare allarmanti suoni di questo tipo e che, per contrasto, trovi gradevoli i suoni che stanno tra loro in rapporti semplici e non caotici, che trasmettono quindi una sensazione di tranquillità o quanto meno assenza di pericolo.
Un altro elemento importante rispetto agli effetti emotivi della musica è quello relativo agli accordi maggiori o minori. Le note crescenti hanno generalmente un effetto rallegrante e attivante mentre quelle calanti vengono percepite come tristi o deprimenti.
Anche in questo caso, senza entrare nel discorso specifico degli accordi maggiori o minori, la domanda è: perché?
I suoni calanti sono tipicamente emessi da animali sofferenti o moribondi. Probabilmente il nostro sistema nervoso prima di imparare a parlare e quindi a livello di suoni non verbali della comunicazione primordiale, ha imparato a utilizzare i lamenti per esprimere sofferenza, lamenti che hanno un andamento tipicamente calante. Di contro, tutti i suoni che esprimono gioia o allegria hanno una tonalità crescente. Gli accordi maggiori e minori rievocano quindi a livello inconscio le emozioni connesse a questo tipo di comunicazione non verbale.
Secondo Theodor Adorno l’ascolto musicale si consuma in un gioco di attesa legata da un lato alla prevedibilità e dall’altro alla novità che l’evento musicale porta con sé. Lo spettatore è sempre in agguato, intento a cogliere la trasformazione delle forme in questo gioco di prevedibilità-novità. Nel momento in cui si ascolta un brano, si crea nell’individuo un’aspettativa che genera una forma di tensione muscolare e soggettiva, che si risolve con la comparsa dello stimolo atteso. Il riconoscimento dello stimolo atteso riduce sia l’attenzione che la tensione. In un brano musicale vengono generate nello spettatore delle attese che possono protrarsi nel tempo oppure le soluzioni possono non corrispondere alle attese creando frustrazione o sorpresa oppure una combinazione delle due condizioni. E’ proprio questa la trama interna dell’eccitazione provocata da qualsiasi opera d’arte, non solo dalla musica; l’alternanza di aspettativa (attesa-tensione) e soluzione (incontro con lo stimolo atteso) è alla base del ritmo che ha un importante ruolo in tutte le arti. Molto spesso i compositori giocano a creare, ad esempio impiegando una certa tonalità, un’aspettativa che poi viene disillusa attraverso un brusco cambiamento di tonalità. La musica è proprio una catena di aspettative che possono essere confermate o smentite. Solitamente la musica pop tende a dare le risposte che ci aspettiamo, mentre altri generi musicali come ad esempio il jazz trovano soluzioni diverse, alle quali l’ascoltatore non aveva pensato o che non si aspettava.
Per concludere, le parole di Hegel sembrano esprimere bene il carattere di universalità della musica indipendentemente dalle differenze individuali, così come universali sono le emozioni che vengono evocate dalla musica stessa:
“Vi è nella battuta musicale un potere magico, a cui possiamo tanto poco sottrarci che spesso, nell’ascoltar musica, battiamo inconsapevolmente il tempo”. Georg Wilhelm Friedrich Hegel