Depressione Post Partum
La gravidanza rappresenta un momento unico nella vita di una donna ed è caratterizzata da intensi cambiamenti fisici ed emotivi.
Aspettare un figlio non significa soltanto prepararsi a un avvenimento gioioso, ma anche a nove mesi di gravidanza durante i quali possono sorgere molti dubbi sulle proprie capacità di donna e di futura madre e sul passaggio definitivo dal ruolo di figlia a quello di madre. E’ inoltre necessario accettare il feto dentro di sé, concepirlo come differente e separato psicologicamente e affrontare il distacco fisico.
E’ anche un momento in cui riaffiorano ricordi relativi all’infanzia e al rapporto con la propria madre: se i conflitti con le figure genitoriali non sono stati ancora superati, l’intero processo può subire delle interferenze e la futura madre può sentirsi ancora più insicura o addirittura provare un vero e proprio sentimento di inadeguatezza.
E’ chiaro quindi che la donna in questa condizione si trova a dover affrontare un difficile lavoro psicologico accompagnato da diverse fonti di stress che si accentuano nei casi in cui viene a mancare un sostegno emotivo da parte delle persone care, o quando non è in grado di affrontare le difficoltà del puerperio, o ancora, quando teme eccessivamente la rottura della simbiosi. Tutti questi fattori, uniti ai cambiamenti ormonali come il calo del livello degli estrogeni e del progesterone, possono dare origine alla Depressione Post Partum o Depressione Postnatale.
E’ importante distinguere gli episodi di depressione post partum dalla “Baby Blues” che colpisce circa il 70% delle donne nei dieci giorni successivi al parto che tende a scomparire entro poche settimane. Questa condizione per lo più transitoria, è caratterizzata da sensazioni d’ansia, stanchezza e irritabilità accompagnate da crisi di pianto che possono essere considerate come una normale conseguenza della separazione biologica madre-feto e delle ricorrenti alterazioni ormonali successive al parto.
La Depressione Post Partum ha una prevalenza del 10-20%, insorge entro quattro settimane dal parto ed è caratterizzata da fluttuazioni dell’umore, ansia, angoscia, irritabilità, apatia, tristezza, facilità al pianto, bassa autostima, mancanza di energia, senso di colpa e inadeguatezza, autocolpevolizzazione, ridotta capacità di attenzione e concentrazione, senso di solitudine, insonnia e inappetenza. A questo quadro sintomatologico spesso si associa la presenza di eccessiva preoccupazione per il neonato, l’intensità della quale può variare dall’ipercoinvolgimento a veri e propri deliri, oppure il non provare sentimenti di amore verso il figlio che si manifesta con il disinteresse o con la paura di rimanere da sola con il neonato.
L’infanticidio è più spesso associato con gli episodi psicotici postpartum caratterizzati da allucinazioni o deliri, ma si può verificare anche durante gravi episodi di depressione postnatale.
Tra i fattori di rischio che possono agevolare l’insorgenza del disturbo, vi sono episodi passati di depressione, gravidanza non programmata, disagi familiari presenti o passati, traumi come la perdita di un familiare o del lavoro, tendenza all’isolamento e al rifiuto dell’aiuto altrui, carattere ansioso e irritabile, abuso di alcol, fumo o sostanze.
Molto spesso le madri con depressione post partum tendono a vivere con enorme senso di colpa le loro sofferenze poiché, secondo l’immaginario collettivo, la gravidanza e il periodo successivo devono essere necessariamente caratterizzate da felicità, pienezza e appagamento. Ecco quindi che viene messo in atto un processo di dissimulazione del proprio stato che si manifesta con una negazione dei vissuti depressivi.
In particolare, alcuni comportamenti come l’ossessiva preoccupazione per ogni dettaglio riguardante la cura del bambino, i continui controlli notturni della respirazione e l’eccessiva apprensione per l’alimentazione del piccolo, uniti a segnali psicologici come senso d’impotenza, rassegnazione, eccessiva autocritica e tristezza possono costituire dei veri campanelli d’allarme per individuare precocemente questo disturbo.
Le interazioni madre-bambino sono quindi soggette a presentare disfunzionalità soprattutto in relazione al fatto che la depressione postnatale produce una limitazione nell’espressione dell’affettività della madre che rende il suo aspetto triste, ansioso e teso accompagnato da una minore frequenza di scambi visivi e fisici con il bambino. Ogni madre poi adotta uno stile affettivo-comportamentale personale, da quella che mostra atteggiamenti invadenti e intrusivi a quella emotivamente assente e incapace di sostenere le iniziative di interazione del bambino.
Secondo uno studio inglese pubblicato sugli Archives of Pediatrics & Adolescent Medicine, anche i neopapà potrebbero essere colpiti da forme più o meno lievi di depressione post partum. Ad aumentare il rischio di pensieri negativi sembrano essere soprattutto la carenza di sonno, i cambiamenti nella vita di coppia, l’eccessiva stanchezza e il senso di responsabilità legato al nuovo ruolo di padre.
Per intervenire sui fattori di rischio è necessario diminuire l’isolamento sociale subito dopo il parto aumentando la vicinanza, il supporto e la condivisione con il partner, i familiari e gli amici che possono diventare importanti risorse non solo per sostenere la neomamma nelle attività quotidiane, ma anche per comprendere e accogliere nella maniera più empatica possibile le sue emozioni.
La consapevolezza che la maternità è un periodo complesso in cui convivono emozioni contrastanti permette di attenuare i sensi di colpa rispetto al percepire sé stesse come cattive madri. Inoltre, la capacità di comunicare il proprio malessere consente di ricevere un aiuto concreto dall’esterno che può essere rappresentato dall’attivazione della rete sociale della donna o, nei casi più gravi, dal trattamento farmacologico e dalla psicoterapia.